Il caso Enzo Tortora: pensa come vuoi ma pensa come noi

Il caso Enzo Tortora: pensa come vuoi ma pensa come noi

25 Aprile 2020 4204 Di Veronica Serafini

Enzo Tortora: la storia di un uomo che racconta la storia dell’uomo. I media che condizionano e inculcano messaggi che il popolo ingoia ad occhi chiusi.

Il patibolo, il processo mediatico, il consenso popolare poi le scuse quando ormai sei sotterrato (perché morto o perché ricoperto di tanto di quel fango).

Era il 17 giugno 1983 quando il volto della trasmissione Portobello, venne arrestato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.

Il caso Enzo Tortora

A portare all’arresto furono le dichiarazioni di alcuni pregiudicati. Alle testimonianze false e alle menzogne si aggiunsero anche delle prove interpretate male, fra cui un nome scritto sull’agenda di un boss, in cui appariva il nome di Tortora (che è come se Oswald avesse segnato sul calendario: “Mercoledì, sparare a Kennedy”) e un numero di telefono.

In seguito le indagini dimostrarono che la parola scritta era Tortona e che l’indirizzo non era collegato in nessun modo al presentatore.

Il conduttore resta in carcere sette mesi e come racconta in una delle sue lettere viene sistemato in una cella di pochi metri insieme ad altre sette persone.

Enzo Tortora

Enzo Tortora

Scrive lettera alla compagna, Francesca Scopelliti:

“È stato atroce, Francesca. Uno schianto che non si può dire. Ancora oggi, a sei giorni dall’arresto, chiuso in questa cella 16 bis, con altri cinque disperati, non so capacitarmi, trovare un perché. Trovo solo un muro di follia. Mi verrebbe da ridere, amore, se la cella non fosse vera, le manette autentiche, le notizie emesse sul serio. È come se mi avessero accusato di avere ucciso mia madre, e dicessero di averne le prove”.

Quando scrive queste parole, Tortora non è ancora a conoscenza del caos che il suo arresto ha scatenato fuori dalla sua cella.

La Rai, per cui ha lavorato anni, è la prima a trasmettere in modo morboso le immagini di Tortora ammanettato, i rotocalchi di gossip pubblicano le foto della madre intenta a pregare per lui in chiesa. La macchina del fango entra in azione. Si susseguono gli scoop falsi: c’è chi assicura di averlo visto spacciare anche negli studi televisivi e chi parla di riciclaggio di denaro sporco.

Ormai Tortora nell’immaginario collettivo è un mostro: pochissime le voci fuori dal coro, pronte a difenderlo.

“E se fosse innocente?”

Quando esce dal carcere per affrontare il processo, l’appoggio più significativo a Tortora arriva dal Partito Radicale che lo candida alle elezioni europee del 1984.

Quando viene eletto al Parlamento europeo, il procuratore Diego Marmo definisce Tortora un “cinico mercante di morte, diventato deputato con i voti della Camorra”.

Il 17 settembre del 1985 arriva il primo grado della sentenza: Tortora viene condannato a dieci anni di carcere.

Subito l’opinione pubblica torna all’attacco del conduttore, accusandolo di aver scelto la carriera politica per ottenere l’immunità parlamentare.

È questo il momento in cui Tortora sorprende tutti decidendo di dimettersi dal ruolo di europarlamentare e rinuncia all’immunità, consegnandosi agli arresti domiciliari, da innocente.

Anche in aula Tortora continua a ribadire la sua innocenza:

“Io grido: sono innocente. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”.

È il travaglio di un uomo che ha rinunciato alla libertà, mettendosi nelle mani della giustizia per un profondo senso etico e un rigore morale radicato nel profondo. Sa di essere innocente e vuole dimostrarlo senza scorciatoie.

Nel 1986 Enzo Tortora viene assolto.

“Come è potuto succedere?”

Il 20 febbraio del 1987 Enzo Tortora torna a condurre il suo Portobello da uomo libero.

Enzo Tortora, Portobello

Enzo Tortora, Portobello

“Dove eravamo rimasti?”

Un anno dopo essere stato assolto, Enzo Tortora muore a causa di un cancro ai polmoni. Gli anni di stress, di dolore e di privazioni hanno messo a dura prova la sua psiche e il suo corpo e non si è potuto godere la libertà difesa a un costo così alto.

Vittima di una coscienza collettiva, incapace di ragionare e porsi domande, ingoiando le risposte già pronte.

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